Nel corso del 20° secolo gli Italiani sono stati costretti ad abbandonare il proprio paese, in particolar modo le regioni del sud, per cercare fortuna altrove ed iniziare una nuova vita. L’Australia era un paese lontanissimo, raggiungibile solo via mare dopo mesi di navigazione. Quindi una scelta difficile, quasi assurda. Ma i più coraggiosi – o disperati – vedevano in questa terra desolata una possibilità di rinascita, attraverso il lavoro e la fortuna. Ecco come e soprattutto quando gli Italiani sono andati in Australia…
I primi italiani immigrati in Australia, dopo la metà del 1800, erano principalmente missionari, musicisti ed artisti provenienti dalle regioni del nord e si insediarono soprattutto intorno alla città di Melbourne. Al primo censimento del 1881 risultavano quasi 2.000 cittadini italiani residenti in Australia, concentrati nel New South Wales e nello Stato di Victoria, la maggior parte di questi erano minatori o taglialegna.
Nel censimento australiano del 1911 si contavano quasi 7.000 cittadini nati in Italia, molti dei quali attratti anche dalla Corsa all’oro vittoriana.
Fu solo dopo il 1920 che il numero di italiani immigrati si fece più consistente, tantoché il censimento del 1921 registrava più di 8.000 residenti di nazionalità italiana e nel periodo compreso tra il 1922 ed il 1930 si contarono circa 30.000 nuovi arrivi dall’Italia.
L’immigrazione si ridusse notevolmente durante la seconda guerra mondiale, periodo durante il quale, gli italiani d’Australia subirono grosse discriminazioni e molti di loro vennero addirittura internati in campi di detenzione per quelli che erano considerati nemici di guerra, come italiani e tedeschi. In questi campi venivano impiegati soprattutto come contadini o come fattori.
Più di 18.000 italiani vennero inviati nei campi di concentramento come prigionieri di guerra. Insieme ai cosiddetti “enemy aliens” (ovvero coloro che erano detenuti per il semplice fatto di essere italiani), dopo il 1942 gran parte di essi furono inseriti come lavoratori nelle fattorie. Molti prigionieri si fecero apprezzare per il duro lavoro, guadagnandosi così il giudizio favorevole dei loro boss Australiani. Queste circostanze contribuirono a gettare le basi per un’accoglienza tranquilla durante i successivi anni di immigrazione italiana in Australia. Il parere dei locali infatti gradualmente cambiò, con un crescente apprezzamento del contributo italiano allo sviluppo economico australiano, mentre gli stessi italiani iniziarono a distaccarsi dalla propria patria a causa di un sentimento negativo verso i fatti accaduti durante la guerra.
Così avvenne un naturale fenomeno di inserimento e naturalizzazione dei nuovi italo-australiani.
Alla fine del 1947, solo il 21% degli Italiani residenti in Australia non erano naturalizzati. Molti di coloro che vennero naturalizzati alla fine del 1940 lo fecero per fugare il sospetto causato dalla guerra. Borrie scrisse nella sua opera fondamentale sulla assimilazione di italiani e tedeschi in Australia: “La naturalizzazione era l’ovvio primo passo verso la loro riabilitazione. La guerra aveva anche rotto molti dei legami con l’Italia, e in aggiunta era comunque difficile poter tornare indietro con il trasporto via mare. Tuttavia, mentre l’atto di naturalizzazione fu un passo irrevocabile che a sua volta fornì un incentivo a diventare socialmente e culturalmente integrati, le indagini sul campo mostrano chiaramente che gli italiani mantennero molte delle loro usanze, in particolare all’interno del cerchio di casa, che rimaneva non ‘australiano’, e naturalizzati o meno, non erano ancora totalmente accettati dagli australiani “.
Al contrario, dopo l’esperienza della guerra, il governo australiano intraprese la campagna ‘Populate or Perish’ (trad. ‘Popolare o perire’), finalizzato ad aumentare la popolazione del paese per ragioni economiche di importanza strategica e militare. Il dibattito sull’immigrazione nel dopoguerra in Australia assunse una nuova dimensione, con la politica ufficiale che provocò un significativo aumento del numero e della diversità degli immigrati, e di trovare un posto per chi arrivava da un’Europa stanca e lacerata. La guerra aveva provocato un cambiamento di modelli di migrazione, accrescendo la necessità di inserire un gran numero di persone che non potevano tornare al proprio paese per una vasta serie di motivi. Questo è stato il caso di oltre dieci milioni di persone provenienti dall’Europa del nord-centrale e orientale, come polacchi, tedeschi, greci, cechi, jugoslavi e slovacchi.
Una fase fondamentale del programma d’immigrazione iniziò con il ‘Displacement Persons Scheme’ (trad. ‘Piano per le persone esiliate’) nel 1947, che portò oltre 170,000 esiliati in Australia.
L’emigrazione post-bellica italiana subì l’influsso dello sviluppo industriale del paese. Nonostante un significativo sviluppo prima della guerra, la devastazione portata dal conflitto lasciò una struttura in rovina. Questi fattori, insieme al rientro dei soldati dal fronte generò un surplus nella popolazione che portò all’emigrazione come soluzione alternativa alla povertà.
Per la fine degli anni ’50 le autorità Australiane stipularono accordi per l’immigrazione con l’Olanda (1951), Germania ed Austria (1952). Hanno anche introdotto un sistema di valutazione e garanzia, aperto agli Italiani, con l’obiettivo di riunire le famiglia separate dalla guerra. In aggiunta, i governi Italiano ed Australiano negoziarono un sistema di recrutamento che divenne effettivo nel ’52. Grazie a questi nuovi schemi e accordi il programma divenne più flessibile e la burocrazia semplificata. Coloro che erano stati personalmente nominati avevano una garanzia di assistenza al loro arrivo in terra Australiana, ricevendo così un aiuto nella valutazione delle possibilità di lavoro offerte.
Fin dal 1950 quindi, il flusso di immigrati italiani in Australia assunse la forma di una vera e propria migrazione di massa. Sia segnalati dai parenti in Australia, o sfruttando l’assistenza fornita dal programma, un grandissimo numero di immigrati lasciò l’Italia per approdare in Australia. Diveramente dal movimento pre-bellico, molti degli immigrati degli anni ’50 e ’60 avevano in mente di sistemarsi in modo permanente in Australia. Nel giro di due decenni, in numero di italiani che si spostarono in Australia aumentò di 10 volte.
Anche se non ci sono dati troppo precisi, perchè il censimento australiano si riferisce solo ai “nati in Italia”, considerando i la seconda generazione nata in Australia (ovvero i figli degli emigrati non nati in Italia), il gruppo etnico italiano si avvicinerebbe alle 800,000 unità, ovvero la seconda comunità etnica non di lingua inglese in Australia.
Tra il 1949 e il luglio 2000, l’Italia era il secondo luogo di nascita per coloro che si erano insediati in Australia dopo il Regno Unito e l’Irlanda.
(fonte: Wikipedia)